A CHI SERVONO LE PISTE CICLABILI? di Alessio Fragnito

 

In uno dei miei tanti viaggi in bicicletta in Europa, mi trovai a discutere con alcuni ragazzi tedeschi che lavoravano proprio nel settore della mobilità sostenibile. Io dissi che era importante creare più piste ciclabili per aumentare la sicurezza dei ciclisti, e loro invece mi dissero che l'obiettivo del loro lavoro non era affatto creare nuove piste ciclabili, perché , secondo loro, le ciclabili servivano solo ed esclusivamente agli automobilisti.

Io chiesi di spiegarsi meglio e uno di loro mi disse: “io ho la bici, io uso la bici, se c'è una strada asfaltata io uso la bici su quella strada. Tu usi l'auto e la usi sulla stessa strada. Per colpa mia che sto in bici, tu che sei in automobile devi rallentare, e per questo mi odi. Allora il Comune costruisce una pista ciclabile, così tu che sei in automobile puoi andare più veloce. E puoi fare incidente. E puoi morire. Se invece il comune non fa la pista ciclabile e in tanti usano la bici su quella stessa strada, allora le automobili andranno sempre lentamente e non ci saranno incidenti”.

Io obiettai che però purtroppo su quelle strade “condivise”, i ciclisti muoiono. Circa 350 ogni anno solo in Italia. Più dei femminicidi, più della droga, più dei delitti di mafia e camorra, più dei morti uccisi per un colpo d'arma da fuoco. Loro risposero che i ciclisti muoiono quando le automobili superano i 30 km/h e che non è mai colpa dei ciclisti se muoiono, sebbene tutti i giornalisti vogliano farci credere il contrario quando parlano di morti in bicicletta.

Quindi se in città diventa impossibile andare a più di 30 km/h allora nessuno più morirà, né i ciclisti, né i pedoni, né gli automobilisti. Poi, quando usciamo dalla città allora sì che c'è bisogno delle piste ciclabili, perchè su una strada a due corsie le auto devono poter andare a 90 km/h e i ciclisti devono poter viaggiare sicuri.

La soluzione, per loro, è la "fahrradstrasse", ovvero la “strada a precedenza delle biciclette”, ossia una sorta di pista ciclabile urbana sulla quale possono transitare anche le automobili ma a patto che vadano alla stessa velocità delle biciclette. Dove esistono queste strade, il numero di incidenti con morti e  feriti è pari a zero. Nelle città in cui ci sono piste ciclabili separate dal traffico automobilistico, il numero di incidenti con morti e feriti scende, ma non si azzera.

La bicicletta, in pratica, è uno strumento di regolazione della mobilità urbana: se viene relegata nelle vetrine dei negozi come abbellimento e dentro piste ciclabili strette e scomode ricavate dai marciapiedi, la bicicletta non avrà mai questa funzione. Se invece di separare le bici dalle automobili, all'interno delle città si dovesse iniziare a concepire i 30 km/h come limite di tutti i veicoli, immediatamente il numero dei morti e dei feriti crollerebbe, in quanto più del 75% degli incidenti automobilisti che avvengono in Italia ogni anno, si verifica su strada urbane. A questo aggiungiamo che il 50% degli spostamenti in automobile viene fatto per raggiungere luoghi estremamente vicini, spesso distanti meno di un chilometro.

Non si tratta quindi di incentivare l'uso della bicicletta, ma di disincentivare l'uso dell'automobile privata, al fine di ridurre i morti, i feriti, l'inquinamento atmosferico, il degrado urbano, la mancanza di spazi per le attività umane.

Nel centro di Benevento non ci sono parchi giochi per bambini, ad eccezione della villa comunale. Nelle altre città europee ogni quartiere ha un proprio parco giochi per bambini. Un parco giochi per bambini occupa lo stesso spazio di sei automobili parcheggiate. Sei.

I nostri bambini non possono giocare perché  sei persone devono parcheggiare la propria automobile, gratis. Ma il problema non è che ognuno vuole il posto auto sotto casa sua, il problema è che lo vuole anche davanti il suo luogo di lavoro, davanti la palestra, davanti la scuola del figlio, davanti al cinema, davanti la chiesa, davanti il supermercato, davanti la casa della nonna e  così via. Ogni posto auto, per legge, deve essere di 10 mq. Ogni persona che ha l'automobile pretende, e sottolineo pretende, di avere circa 100 mq di spazio pubblico a sua completa disposizione per poter parcheggiare la sua automobile, gratis, quando vuole, senza preavviso. Occupare 100 mq di spazio pubblico con qualsiasi altro oggetto che non sia l'automobile costa circa 500 euro al giorno e devo chiedere il permesso diversi giorni prima.

L'errore di fondo nel sistema di trasporto basato sull'auto privata, è che ogni automobile occupa spazio pubblico in maniera improduttiva per circa 22 ore al giorno. Secondo le statistiche, gli italiani usano l'automobile per circa 1 ora e 35 minuti al giorno. Il resto del tempo l'auto occupa spazio pubblico, ovvero sottrae spazio pubblico alle attività umane. Per questo in molte città europee, hanno avviato i progetti di car sharing. Molte città europee hanno ormai adottato il motto “non c'è nessuna ragione per cui tu debba possedere un'automobile per muoverti”. A questo punto sento già i vari “eeeehh ma loro stanno 20 anni avanti”.

Beh allora muoviamoci e cerchiamo di raggiungerli.

E qui sorge il problema: i comuni italiani negli ultimi anni hanno speso milioni di euro per fare piste ciclabili che usano in pochi, perché  le hanno fatte male e senza senso, perché  non collegano posti dove la gente ha bisogno di recarsi per lavoro, per svago, per necessità, ma sono fatte “in mezzo al nulla”. Se davvero un Comune vuole adottare politiche di mobilità sostenibile deve istituire le “zone 30”, ovvero zone in cui la velocità massima sia di 30 km/h, per tutti i veicoli, indistintamente. Bastano dei rallentatori, delle strisce pedonali rialzate e il gioco è fatto. Questo però costa troppo poco. E allora si progettano ponti ciclabili dal costo di 3 milioni di euro per collegare due piste ciclabili che non esistono. E poi si ha il coraggio di dire che così si incentiva l'uso della bicicletta.

Se continuiamo a sperperare i soldi pubblici resteremo sempre troppo indietro e le nostre città saranno sempre più invivibili. Per fortuna le giovani generazioni sembrano non abboccare più al mito dell'auto privata come sinonimo di libertà, anche per questioni economiche. Per cui è solo questione di tempo. L'era dell'automobile si avvia lentamente alla conclusione. Questa cosa è inevitabile. Le automobili prima o poi usciranno fuori dalle città e saranno usate solo per colmare lunghe distanze. Ciò sta già avvenendo. Ad Oslo è vietato entrare in automobile nel centro della città. A Parigi lo sarà tra qualche anno. Ad Utrecht l'82% degli abitanti si sposta in bicicletta. A Groningen il 78%. A Copenhagen e ad Amterdam il 52%. Il mondo va avanti e prima o poi saremo costretti anche noi ad adeguarci. Per questo faremmo meglio ad andargli incontro invece di aspettare.

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