"DI NUOVO IN CASA, MA SIAMO AL SICURO?" di Giovanna Megna

                                                             

La famiglia è un’isola che il diritto deve solo lambire, diceva Jemolo oltre cinquanta anni fa, con un’espressione che ci è rimasta appiccicata addosso per troppo tempo.

Marzo 2020, dalla televisione, in casa mia da soprammobile divenuta improvvisamente protagonista, iniziava il bombardamento mediatico del “Restate a casa” e “Andrà tutto bene”. Quelle due frasi, nella testa di un’avvocata che non dorme mai, suonavano più forti delle sirene del 118 trasmesse a reti unificate. La situazione sarebbe diventata presto drammatica e non solo per i numeri angoscianti dei morti della pandemia, ma per le troppe famiglie che in casa al sicuro non sono mai state, anche se questo dettaglio sembrava sfuggire alla narrazione del momento.

La famiglia, per noi cresciuti a merendine del Mulino più famoso d’Italia, è la cellula della società, vincolo affettivo e di sangue, patto d’amore eterno che sorregge i figli nella crescita e nello sviluppo psicofisico, nel rispetto delle loro inclinazioni e aspirazioni, ma poi quel che accade nelle quattro mura non deve interessare.

Diceva mia nonna che i panni sporchi si lavano in famiglia e doveva pensarlo per forza, visto che il nostro ordinamento, che oggi eccelle per la tutela delle donne contro la violenza maschile (almeno sulla carta, perché i cambiamenti culturali si sa sono lenti), fino a pochi anni fa quella violenza la giustificava, anzi era “norma”. Orietta Berti era già scesa un bel po’ di volte dalla scala del Festival di Sanremo quando finalmente nel 1981, a 16 anni dal rapimento di Franca Viola che col suo no cambiò la storia, veniva abolito il cosiddetto matrimonio riparatore, mettendo fine alla possibilità per uno stupratore (e anche per i suoi compari) di cavarsela infilando un anello al dito della vittima.

Mentre Kurt Cobain aveva già lasciato questa terra, noi donne diventavamo finalmente esseri umani, perché fino al 1996 violentarci era un reato contro la morale pubblica, mica contro la persona. Nelle case delle nostre nonne i mariti avevano il diritto di picchiare le proprie mogli, tecnicamente “ius corrigendi”, e no, la casa non era il posto più sicuro, né allora né oggi. Eppure ancora ci meravigliamo se dentro quelle mura una donna su tre subisce violenza, ci meravigliamo che solo una donna su nove arrivi a denunciare. Restiamo increduli leggendo che quasi sempre per un femminicidio ci sono già un po’ di denunce fatte e quello è il triste epilogo (abbastanza annunciato) di una lunga storia di violenza, liquidata troppo spesso come lite familiare.

Siamo di nuovo in lockdown e chi per lavoro entra nel buco della serratura ad osservare le vite degli altri, non può dormire tranquillo o limitarsi alla preoccupazione per l’impatto sull’economia.

La violenza messa in atto nelle mura domestiche è una vera e propria strategia dell’oppressione, un controllo serrato, un sequestro di persona in alcuni casi , e con la zona rossa, lo smart working, etc etc, come esco per denunciare?

La violenza fisica è solo la parte che “si vede”, per chi ha occhi per vedere , ma se non esco, quale vicina di casa noterà l’occhio nero, quale collega si accorgerà di quei segni sul collo?

La violenza economica è lo strumento più efficace per tenere legata una donna, anche per costringerla a ritirare la denuncia, cosa che avviene più spesso di quanto pensiamo – e allora come faccio ad andarmene se ho dovuto rinunciare al lavoro, se il 98%, di chi in questi mesi il lavoro l’ha perso, è donna?

Consideriamo che un uomo già violento si trova in questo momento a dover fronteggiare la pressione psicologica di nuove restrizioni, magari rischia di perdere il lavoro e ha come valvola di sfogo la moglie e i figli. E allora anche la pandemia è una questione di genere e il rischio è continuare con la triste conta.

È domenica, mentre scrivo con un occhio al sugo, che mai può mancare in una seppur "sgarrupata" famiglia del Sud, arriva la telefonata di mamma. Il tono non è da giubilo per la predica appena ascoltata, ma il racconto, veloce, rassegnato, del numero 13, Ornella Pinto ammazzata dall’ex marito con 12 coltellate.

La famiglia è di nuovo un’isola e a noi non resta che aguzzare la vista e l’udito, intercettare ogni minimo segnale che ci arriva dalla porta accanto e farcene carico, perché il disimpegno morale può fare più morti del virus.

  

Commenti

  1. Concetti che rispecchiano la realtà in modo semplice e chiaro. Brava Giovanna 😘

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